Poco saprei
dirti di Aglaura fuori delle cose che gli abitanti stessi della citta'
ripetono da sempre: una serie di virtu' proverbiali, d'altrettanto proverbiali
difetti, qualche bizzarria, qualche puntiglioso ossequio alle regole. Antichi
osservatori, che non c'e' ragione di non suppore veritieri, attribuirono
ad Aglaura il suo durevole assortimento di qualita', certo confrontandole
con altre citta' dei loro tempi. Ne' l'Aglaura che si dice ne' l'Aglaura
che si vede sono forse molto cambiate da allora, ma cio' che era eccentrico
e' diventato usuale, stranezza quello che passava per norma, e le virtu'
e i difetti hanno perso eccellenza e disdoro in un concerto di virtu' e
difetti diversamente distribuiti. In questo senso nulla e' vero di quanto
si dice di Aglaura, eppure se ne trae un'immagine solida e compatta di
citta', mentre minor consistenza raggiungono i giudizi che se ne possono
trarre a viverci. Il risultato e' questo: la citta' che dicono ha molto
di quel che ci vuole per esistere, mentre la citta' che esiste al suo posto,
esiste meno.
Se dunque volessi
descriverti Aglaura tenendomi a quanto ho visto e provato di persona, dovrei
dirti che e' una citta' sbiadita, senza carattere, messa li' come viene
viene. Ma non sarebbe vero neanche questo: a certe ore, in certi scorci
di strade, vedi aprirtisi davanti il sospetto di qualcosa di inconfondibile,
di raro, magari di magnifico; vorresti dire cos'e', ma tutto quello che
s'e' detto di Aglaura finore imprigiona le parole e ti obbliga a ridire
anziche' a dire.
Percio'
gli abitanti di Aglaura credono sempre di abitare un'Aglaura che cresce
solo sul nome Aglaura e non si accorgono dell'Aglaura che cresce in terra.
E anche a me che vorrei tener distinte nella memoria le due citta', non
resta che parlarti dell'una, perche' il ricordo dell'altra, mancando le
parole per fissarlo, s'e' disperso.
Da "Le citta' invisibili" di Italo Calvino